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Marracash e La via di Carlito

Prima di “Noi loro gli altri”, e “Persona”, basterebbe un solo pezzo nella carriera di Marracash per consacrarlo come il più grande liricista del rap italiano: “La via di Carlito”.

I mediocri hanno bisogno di tempo, i buoni giocatori di adattamento, di allenamento per trovare la propria posizione in campo. E poi ci sono i fenomeni, quelli a cui basta un tocco di palla, o un movimento dell’avversario per far esplodere tutto il talento, mettendo in imbarazzo gli altri, che scoprono che il loro massimo non è abbastanza.

I grandi scrittori, i grandi artisti, si riconoscono fin da subito: Messi a diciotto anni già impone agli altri un ritmo diverso, Rimbaud cambia il senso della poesia moderna, Raffaello adolescente dipinge meglio del suo maestro Perugino, Marracash allo stesso modo atterra sulla scena rap come un alieno, per i più è uno spilungone dalla pelle olivastra e i tratti duri, che orbita attorno ai Club Dogo, sempre più forti in Italia. Non ha dischi ufficiali eppure gli basta pochissimo per distaccarsi dalla pletora di affilati della Dogo Gang; la sua scrittura non teme confronti con quella del gruppo principale, anzi ne rappresenta il completamento.

Siamo nel 2007 e il presentatore di un oscuro programma che si occupa di rap tira fuori un’idea: chiamare rapper da tutta Italia e fargli raccontare in un pezzo il loro film preferito. L’idea è tanto semplice quanto geniale, perché se è vero che il connubio tra rap e cinema (soprattutto crime) è inscindibile e ha fondato delle vere e proprie mitologie come “La Haine“ o “ Scarface”, è altrettanto vero che raramente capita di ascoltare storytelling che raccontino un film. L’approccio della compilation è vario: c’è chi racconta in maniera didascalica spiattellando la trama, chi dà un interpretazione del messaggio sotteso al film. Marracash fa un operazione geniale, e sdoppiandosi con una voce alterata si pone come suo stesso interlocutore; un ascoltatore che muove ipotetiche obiezioni al narratore. Queste possono essere ironiche, ad esempio quando fa notare che nessuna donna aspetta il proprio compagno dopo anni in carcere, o servono semplicemente a snellire il racconto e a variare punto di vista.

Già la scelta di Carlito’s way dice molto della sensibilità poetica di Marracash, potendo attingere dalla coppia De palma- Pacino, non sceglie il personaggio più celebre ma sopra le righe di Tony Montana, prende quello che ne rappresenta la controparte riflessiva e intima, la figura di un perdente. Carlito Brigante è uno spacciatore portoricano, una volta il numero uno nel settore, che riesce a uscire di galera grazie a un cavillo legale per mano del suo avvocato Sean Penn. Carlito vuole uscire dal giro e per tutto il film cerca di staccarsi dalla sua vita precedente mettendo insieme dei soldi per scappare con la sua donna ed evitare tentazioni. 

Ma chi è nato con una mentalità criminale non può fuggire da se stesso, e il fato è implacabile; una spirale di situazioni sbagliate conduce Carlito alla morte, nel momento stesso in cui pensava di avercela fatta. Non c’è salvezza nella strada, solo dolore e distruzione, come Marra descrive bene: a un killer ne sopravvive un altro, un giovane rampante è pronto a prendere il posto del boss, in un ciclo che non si ferma mai, e forse anche la mafia dei vecchi valori, tanto idealizzata dal nostro, non esiste più.

Marra ci avverte :“non ho spoilerato il film, si sa dall’inizio che muore”, ed è vero: il flashforward all’inizio svela tutto, ma la storia è talmente bella che ogni volta speriamo che Carlito si salvi, che prenda quel maledetto treno.

La chiave del film è nel ritornello: “questa vita si appiccica addosso”, siamo il frutto delle nostre scelte o subiamo solo l’influenza del contesto in cui viviamo?, possiamo esorcizzare i nostri demoni o come recita una vecchia frase “chiudiamo col passato ma il passato non chiude con noi”?

Gli occhi acquosi di Pacino che sognano i Caraibi e la fuga con l’amata sono struggenti e rimangono impressi, il sigillo su un film straordinario, una parabola sull’impossibilità di invertire la rotta tracciata dal destino.

Articolo a cura di Simone Giunta