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Gli Immaterial Possession al Fanfulla

L’Ascoli è un grande linguista, ma non il mercoledì pomeriggio. Con sgarbo allo studio, chiusi il libro, le porte della mente e le porte della biblioteca. In preda alle solite divagazioni musicali, mi venne voglia di ascoltare musica dal vivo, così iniziai a fantasticare, ad informarmi su un eventuale concerto in scena la sera. Ho una particolare fiducia nel Fanfulla, locale underground ideale se si è alla ricerca di sperimentazione e ricerca sonora. Ricordo ancora un concerto lì ospitato, gli Omni Selassi, mi colpì particolarmente. Ma ritornando a mercoledì scorso, 8 maggio, fui incuriosito dalla sinossi, dalla presentazione/descrizione del gruppo: “Un paesaggio sonoro teatrale disseminato di flashback del subconscio, raffiche di tastiere retrò, chitarre alla Morricone e armonie sognanti alla Sumac”.

Gli Immaterial Possession andavano in scena alle ore 22 al Fanfulla. Decisi di andare pur non conoscendo alcuna canzone, neanche mi preparai ascoltandoli strada facendo, volevo mantenere il fascino della sorpresa. Ascoltai paradossalmente Yma Sumac, riferimento che non conoscevo, rivelatasi poi un’ottima scoperta.

Sul palco erano in quattro. Alla voce e alla chitarra Madeline Polites, al basso e alla seconda voce Cooper Holmes, alla batteria John Spiegel, al polistrumentismo Kiran Fernandes.

Un gruppo di musicisti/artisti eclettici che durante il concerto ondeggiavano dal folk al progressive rock, dallo psichedelico alle sonorità esotico-arabe. Evidente è il loro stampo retrò nel quale però si districano bene, non facendosi affabulare dal nostalgico e passivo fascino stilistico per gli anni ’50-‘60, ottimi sono gli arrangiamenti e la capacità di fondere assieme generi musicali diversi. Un’estetica teatrale e dark avvolge la loro performance, parlano poco col pubblico, suonano molto, non è presente quindi una strenua ricerca di empatia con gli spettatori, tuttavia hanno una presenza magnetica coinvolgente. Interessante che suonassero con poca effettistica, la chitarra possedeva un pedale, il basso era diretto all’amplificatore, la batteria essenziale. Sorprendente Kiran Fernandes che passava invece dalla tastiera al sax, poi dal flauto alle percussioni. Un gruppo che suonava intelligentemente, idee compositive originali realizzate con una strumentazione semplice, a rappresentare l’importanza dello slancio creativo e compositivo.

Gli Immaterial Possession sono un gruppo statunitense (Athens, Georgia), prodotto da Fire Records (etichetta indipendente inglese), or ora impegnati in un tour europeo. Hanno pubblicato due album (Immaterial Possession, Mercy Of The Crane Folk) ed un singolo (Sugar in a Memory). Una band sicuramente originale, con esperienza, impattante dal vivo, connotata da uno stile e da una ricerca musicale-artistica, ma poco pubblicizzata in una Roma invece tutta promozionale.

Gran parte della musica più interessante, a Roma, passa per i locali più sotterranei, meno istituzionalizzati. Gruppi che arrivano da ogni parte del mondo o dagli angoli italiani più sperduti, con il coraggio di esprimersi non allineandosi, insegnano, arricchiscono. A mio avviso è significativo, soprattutto per chi si occupa di musica, macchiarsi di visioni musicali altre.

Bisognerebbe ascoltare, ascoltare concerti spregiudicati giorno per giorno e tenere un diario per vederci chiaro. Non lasciar sfuggire le sfumature, i piccoli fatti anche se non sembrano avere alcuna importanza.

Articolo di Archita Giuseppe Russo