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IL RUMORE BIANCO DI UN’ANIMA CONTURBANTE

Al Teatro Basilica di Roma, per la quinta replica dal suo debutto, “Smarrimento” di Lucia Calamaro colleziona ancora sold-out.

L’opera, scritta e diretta dall’artista romana, è interpretata da una singolare omonima, sconosciuta a detta degli operatori teatrali, con quella sana invidia altezzosa della gente di teatro che è troppo avvezza a frequentare gli stessi circoli da 10 anni, ma amatissima da un pubblico folto, variegato per interessi ed età, affettuoso.

Su una scenografia total-white moderna e minimalista, irrompe in scena la saggezza dolceamara della protagonista; scrittrice consumata dai finali dei suoi ultimi romanzi, che infatti non scrive. Colta, malinconica, schiava di un cinismo autoironico e innamorata degli inizi, il personaggio si fa voce di una prosa geniale, di una scrittura interiore che in scena è corpo sfuggente e goffamente ancorato alla vivace mestizia del vivere costantemente in fuga dai rapporti umani.

Perché? Perché anch’essi hanno una fine, tra le mille variabili non determinate dal caso, ma unicamente dalla nostra scelta di esserci o sparire. L’autrice si rende conto di essere diventata “una di quelli”, dolcemente schiva a chi le chiede del tempo; perché lo smarrimento nella solitudine bianca di mille mancanze ha il volto di qualcuno che abbiamo perso.

E il dolore provocato? Cosa ne facciamo in un’epoca governata da messaggi malsani di positività incontrollata e dall’incapacità gestionale di emozioni oscure? Lo mettiamo a posto, gli troviamo una collocazione che getti ombra e “sbalzi d’acume” almeno nelle vite dei nostri personaggi interiori, quelli che, tra biscotti rammolliti dal tempo e una golia, la nostra autrice rievoca tra le parole che nella vita reale non è forse mai riuscita a dire.

Articolo di Serena Spanò